Mi chiamo Pierfilippo Tortora, frequento questo corso perché ritengo il cinema uno dei più incisivi e funzionali mezzi di comunicazione, se non il migliore in assoluto.
Sono convinto che il bianco e nero sia la più espressiva forma di fotografia; mi incantano in particolare il primo cinema muto francese (Lumière, lo straordinario nell'ordinario, e Méliès, l'ordinario nello straordinario), i grandi pilastri della comicità americana, come I fratelli Marx e, salendo notevolmente di livello, Buster Keaton o Chaplin, il ponte più saldo per attraversare l'enorme varco fra muto e sonoro.
Poi, certo, il cinema italiano, dalla miseria umana di Fellini, da quella vita il cui senso è un canzonetta, la passerella d'addio, a quella Grecia arcaica e onirica nella sua brutalità, avvolta dal mito, che Pasolini ci raccontò più d'una volta. Certo, non trascuro registi americani come Kubrick, ma nemmeno giapponesi, come Kurosawa (da ricordare che Star Wars ne è una mera rielaborazione).
Esclusi sono film d'azione, sentimentali e thriller; escluso è anche Zeffirelli che manca di una visione critica e completa delle opere che mette in scena; apprezzabilissimi, invece, i grandi film--opera come Don Giovanni di Losey o Carmen di Rosi, pur non perfetti. Sono generalmente sospettoso nei confronti del cinema contemporaneo.
A sinistra, il dialogo con il Cardinale da Otto e Mezzo di Fellini
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