“Mystic River” è un thriller sfociante nel drammatico diretto da Clint Eastwood nel 2003 e ambientato a Boston, in cui Sean Penn e Tim Robbins hanno rispettivamente avuto l’onore di ricevere l’Oscar come miglior attore protagonista e non. Il film è stato inoltre premiato con numerose nominations.
La storia prende in esame le vicende di tre amici d’infanzia -Sean, Jimmy e Dave- dopo un evento sconcertante che segna il destino di uno di loro: un rapimento seguito da uno stupro. Venticinque anni dopo, un agghiacciante fenomeno farà sì che le loro vite si ricomincino ad intrecciare tra sospetti, fiducia e rivelazioni ambigue.
Personalmente, ho trovato “Mystic River” un’opera cinematografica ricca di colpi di scena emozionanti, in grado di scaturirti un’incessante curiosità verso gli avvenimenti successivi. Le movimentate peripezie dei personaggi, nel susseguirsi della trama, hanno reso coinvolgenti e, per certi lati, entusiasmanti, le contrastanti scene legate a ciascuno di loro, apprendendone inconsapevolmente pensieri e stati d’animo.
Clint ha affrontato con meticolosità l’ossimorica situazione statunitense ai nostri tempi: un ‘paradiso’ di innovazioni civili accompagnate da concessioni insolite (rispetto al nostro punto di vista), come la licenza particolarmente accessibile di possedere un’arma.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è il nucleo del significato del film: un fiume utilizzato come nascondiglio/discarica di azioni disonorevoli e vendicatorie, di cui le persone si vogliono sbarazzare a causa del loro immenso peso che aggrava sulla loro coscienza.
Ne consiglierei la visione a chi è capace di scorgere i dettagli nascosti nell’evidenza, e a chi ama sentirsi temporaneamente trasportato, dalla testa ai piedi, in un guazzabuglio di emozioni estrapolate da una realtà verosimile al giorno d’oggi.
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